Sono giorni, settimane e mesi che procrastino la stesura di questo articolo. Nell’arco di tempo che va da quel 28 luglio 2022, giorno dell’annuncio del ritiro di Sebastian Vettel, mi sono chiesto quale fosse il modo più giusto di rendere omaggio a quello che è stato, in questi ultimi anni, il mio idolo. Tutti conosciamo perfettamente i suoi numeri, i suoi record e tutte le pagine meravigliose che ha scritto in questi anni in F1. Quindi ho trovato troppo scontato impostare un pezzo in questa direzione.
Nel mentre siamo arrivati all’ultima settimana di un campionato infinito e mentalmente estenuante da seguire. Nonostante sia un appassionato accanito. Uno che non si stanca mai di vedere girare le macchine e carpirne i segreti tecnici. Ma più ci avviciniamo alle 14 di oggi, più mi sento tranquillo e sereno. In pace con me stesso. Solo con la voglia che questa stagione finisca al più presto. Eppure questo coinciderà con l’ultimo ballo della carriera del mio pilota.
Il sentirmi in questo modo ha fatto sì che saltassero fuori dei dubbi in me. Spesso mi è accaduto in questi anni. Ed allora è venuto da chiedermi se mi importasse veramente qualcosa di lui. Se sia o meno da classificare come suo tifoso, al pari degli altri, oppure solamente uno di serie B. Questo perché non l’ho seguito dagli inizi e spesso l’ho criticato per varie situazioni, anche in maniera aspra. Specie in questa ultima stagione, dove è affiorato un rapporto di amore-odio verso i suoi confronti.
Inoltre, leggendo moltissimi suoi sostenitori in giro sui social e sentendo lo stato d’animo di alcune persone accanto a me, che ne condividono il tifo, ho riscontrato come sia decisamente l’opposto del mio. Allora il quesito che mi sono posto è stato: perché non mi sento triste o distrutto psicologicamente, come è stato 2 anni fa quando ha lasciato la Ferrari? Senza volerlo, come spesso accade, la risposta è nella domanda stessa.
Semplicemente perché il mio Seb, quello di cui mi sono affezionato ed innamorato, non c’è più! Se n’è andato ormai due anni fa, in quel pomeriggio di metà dicembre. Con indosso quella tuta Rossa, che tanto abbiamo amato entrambi e che tanto ci ha ferito.

Ed ecco che, una volta trovata questa risposta dentro di me, tutti i tasselli nella mia mente sono andati al loro posto. Facendomi comprendere il perché di questo stato di tranquillità. Ma soprattutto la maniera più adatta per onorarlo. Decidendo di raccontarvi da come è nato il mio legame con lui e cosa è significato per me. Quindi per una volta mi perdonerete se svesto i panni dello scrittore professionale e mi lascio andare alle mie emozioni.
Io sono stato sempre ferrarista, grazie alla passione tramandatami fin da piccolino dalla mia famiglia. E quindi non sono un suo tifoso di lunga data, come tanti altri. Ma ho iniziato a diventarlo solo quando approdò in Ferrari, nel 2015. Capendo chi era realmente Sebastian Vettel. Un ragazzo totalmente diverso da come lo descrivevano i media da acerrimo nemico. E lì fu la prima volta che compresi, in maniera chiara, come la narrativa adottata dalla stampa può essere spesso ingannevole.
All’epoca internet ed i social non erano diffusi e non potevi reperire tutte le informazioni come oggi. Dovevi sottostare per lo più a cosa raccontavano i giornali e le TV. I quali distorcevano a volte, ma anche tutt’ora, la realtà dei fatti. Tant’è che la scarsa conoscenza della figura di Seb durante il periodo Red Bull, mi provocò un odio sportivo nei suoi confronti. Un sentimento condiviso da tantissimi ferraristi. Portandomi a seguire meno la F1 in quegli anni.
Ricordo ancora l’amaro pomeriggio di Yas Marina, quando Alonso rimase dietro Petrov e Vettel vinse inaspettatamente gara e mondiale. Per ripetere la scena due anni più tardi. Non scorderò mai quella serata. Una delle poche volte in cui guardai il GP con tutta la mia famiglia, a casa dei miei nonni. Speravamo di festeggiare ed invece, per la seconda volta, rimanemmo a bocca asciutta. Con un’altalena di emozioni fin dalla partenza e per tutto lo svolgimento della gara.
Inizialmente, quando fu annunciato durante il GP del Giappone, nel 2014, non lo volevo in Ferrari. Perché come accennavo prima, si era diffuso sui media il mito che senza la macchina costruita da Newey non era in grado di fare niente. Ma fin dalla sua prima gara in Rosso in Australia, con l’arrivo sul podio, iniziai a cambiare prospettiva e vederlo con occhi nuovi e diversi. Avendo subito la sensazione che il suo arrivo portasse nuova linfa alla scuderia di Maranello.









Questa percezione trovò conferma con la splendida ed indimenticabile vittoria in Malesia! Con quel pilota, fino a pochi mesi prima rivale odiato, che salì sul gradino più alto con le lacrime agli occhi per aver realizzato il suo sogno. Vincere con la tuta Rossa, da vero ferrarista, nel segno di Schumacher. Ecco queste due cose sono state le prime che ci hanno accomunato. Facendo scattare un qualcosa dentro di me, nonostante negli anni sia sempre rimasto fedele al Cavallino Rampante. E neanche quando è tornato Schumacher, ho tradito la mia passione verso la Scuderia.
Da quel momento iniziò un processo lungo dentro di me, sottotraccia, che arrivò a compimento in una data precisa. Il 22 luglio 2018 alla “Sachs Curve”, dell’Hockenheimring. Nefasto ricordo per tutto i ferraristi ed i suoi tifosi storici. Probabilmente fu in quella giornata in cui si consumò la definitiva rottura del rapporto tra i tifosi della Rossa ed il loro beniamino. Invece a me quell’episodio fece un effetto contrario, rafforzativo. E capii che ero legato più al pilota ed alla persona, che alla macchina. In quell’istante giurai a me stesso che non l’avrei mai abbandonato.
Vi starete chiedendo quali sono stati gli altri motivi che hanno portato Seb ad essere la mia stella polare. La risposta esula dai meri risultati sportivi. Ma vanno ricercati nel lato umano e caratteriale. Conoscendolo sempre più negli anni, ho scoperto che abbiamo tante similitudini. A partire dalla ricerca della perfezione in qualunque cosa facciamo. Forse non sarà stato un talento cristallino, ma con il duro lavoro ha raggiunto i traguardi che si era prefissato. E questo non può che essere d’ispirazione per un giovane come me.
Mi ha insegnato a dare sempre il massimo, perché alla fine i risultati arriveranno. E non mollare mai davanti alle prime difficoltà e crederci sempre. Come recita una delle sue frasi storiche:“Never Lift, never stop believing”. Il mettersi al servizio del prossimo o degli altri, dando tutto se stessi e forse anche più. Prendendoci più colpe di quelle che a volte ci appartengono. Gli stessi gusti musicali. Ed è grazie ad una traccia messa sotto la sua pole, in Canada nel 2018, che scovai il mio gruppo preferito. In lui ho trovato rifugio durante uno dei periodi più bui della mia vita. Guardarlo correre, mi ha fatto sempre dimenticare i miei problemi. Concedendomi quell’ora e mezza di svago.
C’è ne sono veramente tanti, come anche il battersi per le proprie idee e non avere paura del giudizio degli altri. Ed anche quella di avermi fatto conoscere, in questi anni, tantissime splendide persone. Alcune delle quali sono diventate le mie migliori amiche. Lui, l’antisocial per eccellenza, che è riuscito a creare tantissimi legami importanti basati sulla sua figura. Nonostante ripeta che nessuno si ricorderà di lui fra qualche anno.







Ma la motivazione più importante, che mi ha avvicinato a lui, richiama il nostro amore comune verso la Rossa di Maranello. Per la prima volta mi sono sentito rappresentato da un pilota che amava la Ferrari, tanto quanto me. Anzi addirittura di più. E questo ha fatto sì sposassi in pieno il suo magnifico sogno. Quello di diventare Campione del Mondo con la macchina Rossa che tanto adoriamo. Facendolo de facto anche mio.
In quel magico periodo della mia vita, che parte dal 2015, ritrovai la voglia di seguire la F1. Grazie a quello stesso ragazzo che me l’aveva fatta perdere anni prima. Iniziando a seguire ogni minuto di prove libere, qualifiche e gara non perdendomi neanche un istante. Anche nel cuore della notte, a costo di far svegliare la mia famiglia. Basando la mia vita sulle tappe del mondiale. Ed è stato grazie a lui se ho avuto la possibilità di vivere dei momenti magici, unici e irripetibili nel suo periodo in Ferrari.
Ho gioito insieme a Seb, ho urlato per lui. Ma anche sofferto moltissimo per ed insieme al mio idolo. Perché io le mie passioni le vivo così, al massimo. A volte era come se avessi un legame viscerale con lui, potendo avvertire il suo stato d’animo da migliaia chilometri di distanza. Sono molto geloso di lui, lo ammetto. A volte per ritrovare quella connessione platonica tra noi due, ho bisogno di isolarmi dal mondo esterno e rimanere da solo con Seb. Riprendendo video delle sue imprese epiche in Ferrari.
Se mi chiedete qual è la mia preferita, è una domanda difficilissima a cui rispondere. Perché ogni volta se ne dimentica una. Ai primi posti posso citarvi la vittoria in Malesia, la genesi di tutto. Quelle in Ungheria, la prima con una partenza fulminante e la seconda con il volante storto. Oppure il Bahrain del 2018, gara infinita ed estenuante. Passata a pregare che le gomme non lo mollassero e nel mentre fare calcoli sul distacco da Bottas. Ma lì diede un ulteriore saggio delle sue qualità di gestore delle gomme. E che non si vincono quattro mondiali per caso.
Per poi passare alle pole stratosferiche a Singapore ed quella adrenalinica in Canada nel 2019. Dove tirò fuori tutto se stesso per andarla a prendere. Senza scordare la pennellata d’autore in quel di Suzuka. Suo “circuito preferito”, come disse quella notte. Una vera e propria opera d’arte su video, da gustare e rigustare. Sorpassi incredibili, spesso dimenticati dai più, ne ha fatti a bizzeffe. Il primo senza DRS con le macchine del 2017, a Ricciardo in Cina. La doppia finta sul numero 77 a Barcellona qualche mese dopo.
Anche se a mio parere la mossa più spettacolare di tutte, che poteva inventarsi solo lui, rimarrà quello di Silverstone 2018. All’ingresso della Brooklands, sempre sul finnico. Ricordo perfettamente l’urlo che tirai fuori quel giorno, come fosse ieri. Tanto da far spaventare l’intero vicinato. E di conseguenza anche la vittoria che ne conseguí, è annoverata tra i momenti che adoro di più. A volte ci dimentica della rimonta nel GP di Germania del 2019. Partito ultimo, a causa di un guasto in Q1 che l’ha messo ko nel giro out, è risalito fino alla seconda posizione. In quella che è stata la gara della redenzione, un anno dopo il fattaccio della Sachs Curve. Facendo vedere che sul bagnato andava eccome.













Ma il momento di Seb che custodisco gelosamente nel mio cuore, in generale, è uno soltanto. Ed è la sua ultima vittoria: Singapore 2019! Non perché è la sua ultima vittoria in Ferrari od in F1. Ma per il significato di quella giornata e di tutto quello che era accaduto nelle settimane precedenti. E non nascondo che proprio per questo motivo, sotto sotto, sono contento che non c’è ne siano state altre.
Venivamo da Monza e per me, come per lui, è stato un duro colpo da digerire. Quell’errore all’Ascari e vedere Leclerc vincere davanti alla marea ferrarista, sapendo che poteva esserci Seb lì su, senza strani giochi nelle qualifiche, mi fece crollare. Mi ci vollero più di 10 giorni per riprendermi emotivamente. Perché quel GP sancì la definitiva consacrazione del giovane monegasco a capo popolo Rosso. Ed io, che credevo in Seb e nel nostro sogno, non lo accettavo. Perché non si abbandona una persona che ha dato tutto per la causa così, dall’oggi al domani, per il nuovo che avanza.
A quel punto ho capito che eravamo soli. Io, Seb, Ricky Adami, i suoi meccanici e basta. Nessuno credeva più in lui. Ricordo che mi approcciai al weekend a Marina Bay, suo giardino di casa, senza nessuna aspettativa. Anche perché la Ferrari era un dragster e non aveva carico, come ricorderete. Mi dovetti ricredere. Perché grazie al pacchetto di aggiornamenti portato sul tracciato di Singapore, la SF90 trovò quel carico mancante. Dopo il primo colpo del Q3, sembrava che stesse per accadere la magia, ma niente.
Domenica mi misi davanti alla TV, di nuovo senza credere che potesse succedere chissà che. Ed invece mi sbagliavo di grosso. Seb rientrò al pit, non accorgendomi di quello che stava per succedere di lì a poco. Me ne resi conto solo una volta che Leclerc uscì dai box alle sue spalle. Ero incredulo, non capivo cosa stesse succedendo. Semplicemente The Lion of Singapore aveva colpito ancora. Un giro di uscita da paura e sorpasso sul compagno di squadra messo a segno.
Lì iniziò a salire la tensione alle stelle, perché c’era una grossa possibilità di tornare a vincere. Ed io odio i cittadini, in cui il minimo errori lo paghi, e mi mettono sempre una grande ansia. Sorpassò diverse macchine, cercando di conseguenza di aprire il gap sul monegasco. Ma alla manovra su Gasly mi si gelò il sangue. Perché ci mancò veramente poco che la sua gara finisse lì. Ogni SC fu un’agonia e non riuscivo più a stare seduto. Ero entrato in modalità scaramantica ad ogni ripartenza, ripetendo in modo ossessivo gli stessi gesti.
E poi arrivò quell’ultimo giro. Quanti pensieri mi sono passati davanti in quel momento. Tutta la sofferenza che avevamo vissuto insieme in quei mesi, in particolar modo in quelle due settimane, stava per essere spazzata da una vittoria dolce quanto inaspettata. Una volta transitato sotto la bandiera, non riuscii a contenere la mia commozione e la gioia per quel risultato. E mi fece, inconsapevolmente, anche un regalo di compleanno anticipato di un giorno.
Quello fu il trionfo di chi ha sempre creduto in lui e non ha mai dubitato un momento sulle sue capacità. Di chi gli è stato accanto, specialmente nei momenti duri. E per la prima volta quella vittoria la sentivo veramente anche un po’ mia. Come se fossi stato affianco a lui a guidare, e spingerlo, durante quei giri interminabili.












Sicuramente rimarrà un grandissimo rimpianto, come lui stesso ha ammesso più volte. E cioè quello di non essere riuscito a vincere il mondiale e coronare il suo, anzi il nostro, sogno. Ma per me avrebbe meritato anche un’altra gioia. Sto parlando di vincere a Monza vestito di Rosso. Perché anche se non arrivi all’iride, ma riesci a conquistare il Tempio della Velocità con quella tuta, entri nella leggenda della Scuderia.
E Seb avrebbe assolutamente meritato, più di chiunque altro, quel riconoscimento. Perché lui è la Ferrari! La perfetta incarnazione del motto #essereFerrari, lanciato dalla Scuderia qualche anno fa. Ed il modo in cui è stato trattato alla fine, dal team, dalla maggioranza dei tifosi e dai media, è tutt’altro che degno per uomo che ha dato tutto per arrivare all’obiettivo. E che è comunque parte della storia della Rossa di Maranello. Per questo sarò sempre orgoglioso e fiero del mio pilota. Perché ha dimostrato attaccamento alla squadra fino all’ultimo, facendo da scudo alle critiche che dovevano essere rivolte ad altri. E molto più in alto di lui.
Un rimpianto personale è quello di non essere mai riuscito a vederlo dal vivo con quella tuta. Questo sogni l’ho cullato solo per pochi giorni. Anche se, fortunatamente, sono riuscito a vederlo almeno una volta nella mia vita. Appena in tempo quest’anno ad Imola. E pur avendo preso l’acqua per due giorni su tre, ed essere stato in mezzo alla marea ferrarista vestito di verde, ne è valsa la pena averti visto caro Seb. È stata una gioia indescrivibile!

Grazie di tutto Campione! Grazie di tutte le emozioni che mi ha fatto vivere e gli insegnamenti che mi hai donato in questi anni! E scusa se sono arrivato in ritardo. Ma forse era destino che ci incontrassimo in quel preciso momento delle nostre vite. Per condividere un sogno durato tanti anni. Ed anche se non ci siamo arrivati a realizzarlo, l’importante è stato il viaggio intrapreso e percorso insieme.
Ti auguro di cuore tutto il meglio possibile per te e la tua famiglia! Con la speranza di incontrarti un giorno e scambiare quattro chiacchiere assieme. E perché no, magari rivederti in qualche ruolo nella nostra squadra. Perché come hai detto una volta “Everyone is a Ferrari fan. Even if they say they’re not, they’re a Ferrari fan.” Ma la stessa cosa vale nei tuoi confronti. Anche chi dice di non esserlo, sotto sotto è un tuo tifoso.
Nel lasciarti, ti dedico alcune frasi di una canzone a cui tengo particolarmente degli Scorpions, dal titolo “The best is yet to come”. Perfette per descrivere il tuo nuovo percorso di vita e per quello che tu significhi per me, ora e per sempre:
“I know, you know
That we’ve only just begun
Through the highs and lows
And how can I live without you
You’re such a part of me
And you’ve always been the one
Keeping me forever young
And the best is yet to come
Hey ah eh oh
Don’t look now, the best is yet to come
Hey ah eh oh
Take my hand, the best is yet to come
Oh can you feel it in the air
It’s in your heart and everywhere
We got to keep that dream alive”
GRAZIE SEB!