Formula 1 | Ferrari, con l’addio di Binotto un altro anno buttato prima del tempo!

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Nicola Sigismondi

Nicola Sigismondi

Dopo la fuoriuscita di notizie dai quotidiani italiani, prima e dopo Abu Dhabi, la Ferrari nella mattinata di martedì ha comunicato il divorzio con Binotto. Un ennesimo Team Principal mandato via da Maranello nel cuore dell'inverno. Segno che i vertici non hanno ancora imparato a prendere delle decisioni in maniera preventiva, senza intaccare sulla stagione seguente.

Terremoto doveva essere e terremoto è stato. Esattamente una settimana dalla fine della stagione 2022, a Maranello si è consumata la separazione tra Binotto e la Ferrari. 28 anni di onorata carriera vissuta fin dagli albori nel 1995 in Rosso, attraversando tutti i ruoli della piramide. Fino ad arrivarne al culmine il 7 gennaio 2019, prendendosi il ruolo di Team Principal (passaggio di testimone avvenuto con Maurizio Arrivabene) in combinazione con quello di direttore tecnico.


Il tecnico reggiano, nato in Svizzera, ha dovuto affrontare uno dei periodi più bui della recente storia ferrarista. Con lo smacco della fallimentare stagione 2020. Nata da un accordo per depotenziare la PU, mai trovata irregolare, con la FIA. Inoltre, durante la pausa Covid, ha dovuto gestire la patata bollente del non rinnovo di Sebastian Vettel. Affrontata in maniera pessima da lui ed i vertici. Con il conseguente arrivo di Carlos Sainz per sostituire il 4 volte campione del mondo.


La riorganizzazione interna avviata nel 2019, aveva come finalità quella di arrivare pronti alla rivoluzione regolamentare, slittata all’annata 2022, dopo anni d’inferno. Con l’accenno di risalita iniziato nel 2021, sia lato PU che prestazionale. Come sappiamo, pronti via la F1-75 è stata la vettura di riferimento della griglia inizialmente. Per poi perdersi durante il proseguo del campionato.


Questo è stato indotto da diversi fattori, come il ritorno della Red Bull dopo un avvio shock, causa guasti, ed il consueto lavoro di sviluppo eccellente degli uomini di Milton Keynes. Ma soprattutto una mancanza di affidabilità del nuovo motore Superfast 066/7. Unito a strategie non impeccabili, un pacchetto di aggiornamento portato in Francia che ha mandato fuori strada i tecnici di Maranello ed anche errori dei piloti. Ricordiamo i marchiani testacoda di Leclerc ad Imola, ma soprattutto al Paul Ricard mentre era in testa alla corsa sull’asciutto.


Ovviamente tifosi e critica, come sempre accade in questi casi quando si tratta della Ferrari, hanno iniziato ad individuare quello che per loro è il colpevole. La causa di tutti i mali. Andato via Vettel, questo “onore” è toccato al buon Mattia Binotto. Il quale ha cercato in tutti i modi di mettere al primo posto la squadra, facendo da parafulmine e mettendoci la faccia nelle situazioni difficili. Ma questo non è bastato ed alla fine ha pagato per tutti.


Andando ad analizzare in maniera oggettiva la situazione, si percepisce che il board ferrarista è privo di programmazione ed in balìa, ancora una volta, dei malumori dei tifosi, della stampa e del clan Leclerc. Quello che manca alla Rossa, che i rivali come Mercedes e Red Bull posseggono, è un concetto chiamato stabilità. Non si può pensare di tornare a vincere, dall’oggi al domani, senza un’adeguata visione a lungo termine. E questa Binotto, da buon ingegnere qual è, l’aveva ben in mente.


Chiaramente l’ex TP ha la sua dose di colpe, specialmente nell’ambito della comunicazione. Settore in cui si è ha spesso e volentieri mostrato lacunoso. Ma fin dagli albori della stagione, per smorzare i toni entusiastici delle prime vittorie, ha dichiarato che questo era l’anno del ritorno alla competitività, non quello del ritorno alla gloria. In tanti l’hanno percepita come un voler mettere le mani avanti in caso di insuccesso, visto che all’epoca la Rossa era ancora saldamente in corsa per i titoli.


In realtà sapeva benissimo che il team aveva ancora delle criticità e non era pronto per competere al livello della Red Bull. Serviva ancora una stagione di maturazione. E soprattutto la F1-75 aveva un Tallone d’Achille. Parliamo del propulsore. Era questione nota all’interno della GES, durante lo scorso inverno, che il progetto ambizioso di Zimmerman non arrivasse al chilometraggio minimo di sicurezza al banco. Riportando rotture non identificate e non risolte in tempo per l’avvio della stagione.

Charles Leclerc, Ferrari F1-75, GP Spagna
Photo by: Uncredit


Ma questo era un rischio calcolato, in quanto sull’affidabilità si può ancora lavorare. A differenza del lato prestazionale, che ha subito il congelamento della parte endotermica alla prima di campionato. E la Ferrari, dopo lo sgonfiamento della PU con il patto segreto siglato con la FIA, aveva bisogno principalmente di chiudere il gap con gli altri motoristi. Obiettivo di fatto raggiunto. Però da Barcellona in poi, con l’arrivo al fine vita dei motori, sono affiorate anche quelle fragilità che erano rimaste sopite durante i primi mesi di vita dello 066/7.


A quel punto, i motoristi diretti da Enrico Gualtieri non hanno potuto far altro che abbassare la potenza e tenere sotto controllo la situazione. Questo ha portato ad una riduzione della prestazione della PU, ma anche ad altre conseguenze. È importante ribadire un concetto che a volte ai più sfugge ancora. Una monoposto di F1 è un complesso esercizio di compromesso da ricercare, per sfruttarla al massimo delle sue potenzialità. E quando una delle quattro macro aree viene a mancare (motore, aerodinamica, meccanica, affidabilità), le altre sono coinvolte di conseguenza.


Ovviamente con l’abbassamento delle mappature, e considerando che è la Ferrari è la vettura che genera più carico aerodinamico, ne ha risentito drasticamente la velocità di punta. Per compensare, la scelta più logica è quella di abbassare l’incidenza dell’ala posteriore. Portando ad una modifica del bilanciamento della vettura e di come sfrutta le gomme. Questo è il motivo per cui, insieme al già citato upgrade del Paul Ricard, la Ferrari nella seconda parte di stagione ha faticato nella gestione degli pneumatici in gara. Mentre sul giro veloce si è sempre rivelata concreta. Il problema è che i punti si fanno la domenica e non il sabato, come è noto.


La visione a lunga scadenza Binottiana, sembrava avesse attecchito anche nella dirigenza. Tant’è che nell’unica intervista pubblica rilasciata da Elkann, all’indomani del GP d’Italia, condivideva che l’obiettivo fosse vincere i mondiali entro il 2026. Ma è bastata una contro intervista rilasciata da Leclerc a Roberto Chinchero, di Motorsport.com, per far crollare il castello di sabbia ferrarista. Il monegasco, pur rispettando la visione del presidente, ha espresso il desiderio di vincere al più presto possibile e non dover aspettare ancora.


Ed è da questo momento, a fine ottobre, che sono iniziati a circolare i primi rumors sul futuro di Binotto. Culminati con il divorzio, scatenato non solo per le questioni tecniche. Ma soprattutto perché il 25enne non si sarebbe sentito tutelato dal suo TP nel confronto con Sainz (il suo approdo alla Rossa fu una scelta personale dell’ingegnere), concedendogli i galloni di capitano. Quindi, rischiando di perdere il suo pupillo e con la Mercedes alla finestra per il dopo Hamilton, Elkann ha deciso di silurare Binotto. Questa decisione, inoltre, rappresenta la potenza che Leclerc ed il suo clan hanno in seno alla Ferrari. Il Drake affermava che veniva prima la Scuderia e poi i piloti. Pare che questo assunto al momento si sia totalmente ribaltato.


E non mina solamente alla serenità ed alla compattezza, che Mattia Binotto aveva cercato di creare con tanta fatica nel corso degli anni, nel gruppo di lavoro. Ma soprattutto rischia di buttare all’ortiche già il 2023, ancor prima che la stagione prenda inizio. Se questi dissidi, come pare, erano già nati in estate con i mondiali già in direzione Milton Keynes prima della pausa, allora quello sarebbe stato il momento adatto per portare in atto dei cambiamenti. Senza intaccare sulla prossima stagione. Ma così, come nel 2019, il cambio al timone arriva in un momento delicato in cui le vetture sono in definizione. Inoltre, in questa occasione, non ci sarà una promozione interna che bene o male conosce le dinamiche. E nonostante questo ci sono voluti degli anni per Binotto ad oliare il tutto. Bensì un arrivo esterno.


Per comprendere quanto sia stata incomprensibile ed illogica la mossa decisa dai vertici, che testimonia la confusione che regna nei piani alti di Maranello, al momento non si ha la minima idea di chi sarà il sostituto. La candidatura di Vasseur, vicino a Leclerc ed al CEO di Stellantis, pare sia in calo. Ed altre piste sondate hanno rifiutato l’approdo a Maranello, vedendolo come pietra tombale alle proprie carriere.


Dal canto suo Binotto resterà fino a fine anno, per completare la genesi del progetto 675 e poi si farà da parte. Sicuramente avrebbe meritato di rimanere per la prossima stagione. È clamorosamente errato mandarlo via dopo che la Ferrari stava risalendo la china, anno dopo anno grazie a lui. Centrando quest’anno l’obiettivo di tornare al vertice della F1 dopo annate complicate. Sarebbe dovuto essere il secondo anno di questa epocale rivoluzione regolamentare a far tracciare un bilancio del suo operato. Così da permettere di prendere una decisione più oggettiva e meno istintiva.

Mattia Binotto abbraccia Charles Leclerc dopo la prima vittoria stagionale in Bahrain, GP Bahrain
Photo by Uncredit


Come diceva il Drake:”il secondo è il primo dei perdenti!” Frase che ha ripreso l’AD Vigna qualche giorno fa in un’intervista rilasciata. Vero, ma nel mondo sportivo moderno non basta il blasone per tornare lassù. Serve, come accennato in precedenza, programmazione e stabilità. Che tanto mancano alla Ferrari dall’epoca dorata del trio Schumacher-Todt-Brawn, arrivata invece al quarto cambio al timone della GES in una decade. A questo punto chi prenderà questo gravoso ruolo, ahi lui, avrà un solo obiettivo: vincere i mondiali. Buona fortuna nuovo Team Principal Ferrari!

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